Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia”. E subito apparve l’angelo con una moltitudine dell’esercito celeste, che lodava Dio e diceva: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli, e sulla terra pace agli uomini, che egli ama”. (Lc 2, 12-14)
Cara Caritas di Vittorio Veneto,
ti scrivo per farti gli auguri di un buon Natale, a te che di quel Bambino sei segno nella storia. A te che fai tuo il suo stile. A te che con stupore guardi il mondo, accogli ogni dono, abiti ogni tenebra, riverberi la sua luce.
Ormai è da più di un anno che ci conosciamo, perciò con questi auguri vorrei confidarti qualche piccolo segreto, come si fa tra amici; e qualche mio sogno, come si fa con coloro di cui ci si fida.
Vorrei dirti intanto grazie, per tutta l’energia che promani, per l’impegno che ci metti, per la voglia di non mollare anche quando tutto è difficile. Vedo in te il volto di chi vi opera, il cuore di chi si dona, il sorriso di chi riceve, la ricchezza di chi vede nell’altro una sorella, un fratello, e non semplicemente un utente o un problema. Vedo la passione che metti in ogni cosa. Vedo la tua fede, di cui parli nell’agire.
Tutto questo mi incoraggia e mi fa intravedere la ricchezza e la bellezza de cammino fin qui fatto insieme, pur consapevole come sono delle mie povertà rispetto al servizio che mi è chiesto nei tuoi confronti. Sono grato perciò delle parole amiche e accoglienti che dai tuoi operatori ho ricevuto, della generosa disponibilità di chi s’adopera fattivamente, dei preziosi consigli condivisi da chi intravede vie di Vangelo e di coraggio creativo.
In questo momento di confidenza, cara Caritas, desidero anche esprimerti i miei sogni. Ciò che cerco per me stesso e ciò che vorrei vedere in te. Te li affido come i desideri più preziosi, perché tu li possa custodire, per lasciartene ispirare.
Essere casa. Come sai, oggi sono in tanti a cercare casa e in tanti faticano a trovarla. L’abbiamo sperimentato in modo forte nell’accoglienza di chi scappava e scappa dalla guerra in Ucraina, come in mille altre occasioni a contatto con fragilità e povertà. Mi piacerebbe che tu fossi sempre “casa” per tutti: se non con i muri, almeno con il sorriso; se con il tetto, almeno custodendo la dignità di chi incontri; se non con finestre e porte, almeno con il tentativo di spalancare traiettorie nuove per chi non ha abbastanza autonomia e fiducia in sé stesso. So che ce la stai mettendo tutta e ne sono rincuorato, ma lasciami dire, cara Caritas: non smettere di essere ancor più accogliente, più umana, più vicina.
Essere casa vuol dire anche sapersi dare una struttura, non cedere all’improvvisazione e allo spontaneismo, credere che “il bene va fatto bene”. Vuol dire saper organizzare, strutturare, verificare; avere metodo insieme al contenuto, senza arrivare sempre col fiato corto, con l’impressione che tutto sfugga di mano. E, ormai lo sai, non basta dircelo per cambiare la realtà: mi piacerebbe che camminassimo insieme, insieme pensando i passi più opportuni, insieme raggiungendo traguardi nuovi.
Essere famiglia. La tua bellezza, cara Caritas, è quella di non essere semplicemente un’organizzazione. Ti auguro di non dimenticare mai questa forza, cedendo a mere logiche aziendali o efficientistiche. Ci mancherebbe! Il lavoro è lavoro! Ma è l’atteggiamento che fa la differenza: tu lo sai quante volte sono rimasto stupito dalla tua generosità e dalla tua passione. Mi piacerebbe che ora facessimo un passo in più: rendere tutti più protagonisti. Un protagonismo di tutti, che diventa scelta di responsabilità, superando la tentazione che talvolta ci prende (e lo dico a partire da me!) di lamentarci di quello che non va, mentre invece dovremmo compiere gesti e scelte per invertire la tendenza e migliorare le cose già nel nostro piccolo. Superare la tentazione che talvolta ci prende di vedere benissimo le colpe altrui, per avere invece maggiore autocritica e, con comprensione e misericordia, affiancarci a chi è più fragile. Insomma, cara Caritas, vorrei che il nostro essere “famiglia” fosse una realtà più evidente e spontanea, in cui sempre si lavora con spirito di squadra, pur nella distinzione dei ruoli; dove non conta il ruolo, ma semplicemente l’affetto e la relazione.
E come in ogni buona famiglia, tu lo sai, cara Caritas, bisogna saper fare economia. Occorre saper gestire ogni cosa come fosse propria, sapendo che invece nulla ci appartiene e tutto è dono. Cedere a logiche autoreferenziali e paternalistiche non ci mette certamente dalla parte di Dio: metticela tutta per sentirti sempre povera; e con stupore scopriti sempre famiglia di fratelli. Continua ad essere dalla parte dei poveri, ma ricordati che i poveri non sono sempre “gli altri”. Agisci non solo per i poveri, ma sforzati di pensare, discernere e agire con i poveri: sono essi a indicarci ciò che è Vangelo, a riportarci alla luce di Betlemme, a rimetterci in cammino, a scuoterci dalle nostre comodità.
Essere Chiesa. Come spesso riaffermi nei tuoi documenti ufficiali, la tua identità, cara Caritas, non si comprende senza una scelta di fede, senza un legame di appartenenza alla comunità dei battezzati in Cristo. Sento che soffri, talvolta, di anoressia di fronte al tuo alimento spirituale, dimenticando che nessuno sa dare, senza ricevere. Ti auguro di saper trovare la giusta “carica” nella Parola di Dio, nella preghiera che ispira le azioni e purifica i desideri, nella gratitudine di sentirti amata da Dio e, solo in forza di questo, capace di amare coloro che incontri e che ti cercano. Ti incoraggio a riscoprire anche il legame con le comunità – diocesana e parrocchiali – di cui sei espressione, con il vescovo e con i parroci, in un’alleanza di comunione, ricordando che senza questa radice rischi di dimenticare la tua stessa identità e di perdere ogni linfa vitale.
Perdona la lungaggine, e non volermene a male se mi sono permesso di esprimere qualche mio sogno: è il tentativo di dare profondità a un augurio che non sia un semplice “proforma” ma che possa stimolare spazi di riflessione e di cambiamento. Per far emergere la ricchezza del bene; per condividere obiettivi di crescita e passi di novità; per continuare ad essere segno eloquente della “Gloria che è nell’alto dei cieli”, e luce di speranza sulla terra per ogni uomo e donna “che Dio ama”.
Buon Natale, cara Caritas!
Don Andrea