Una famiglia composta da papà Sadiq (30 anni), mamma Mohdesa (23), la piccola Morsal (4 anni) e i genitori di Sadiq, costretta a lasciare tutto per fuggire dall’Afghanistan direzione Italia sembra una storia comune, soprattutto negli ultimi mesi.
Ma la storia di Sadiq e della sua famiglia, come quella di ognuno di noi, è invece sempre straordinaria.
La vita prima dell’arrivo dei talebani
Sadiq lavora da quando ha 10 anni: inizia nel negozio dello zio dove realizza porte e finestre in ferro per le case. Questo lo fa durante il pomeriggio, la mattina va a scuola.
Lavorare nel pomeriggio era abitudine diffusa tra i coetanei di Sadiq, dice lui: “meglio che rimanere a casa, dove non c’era la televisione e non si faceva niente. Il rischio era di finire in brutte compagnie”.
All’età di 15 anni Sadiq comincia a lavorare per aiutare la sua famiglia, il papà è imbianchino, guadagnando 300 afghani (moneta dell’Afghanistan) alla settimana (circa 3 euro).
La svolta per Sadiq arriva quando viene assunto alla Nato dove il cugino lavorava a contatto con l’esercito italiano.
Anche Sadiq nei suoi 11 anni alla Nato lavora per un periodo a contatto con gli italiani, impara la lingua e quando, dopo la partenza dell’esercito statunitense dall’Afghanistan, l’ambasciata italiana da la possibilità a interpreti e contatti diretti di italiani di lasciare il paese vista l’avanzata dei talebani, coglie l’occasione per provare a mettere in salvo sé stesso e la sua famiglia.
Il viaggio per l’Italia
Nonostante le poche possibilità di rientrare tra le persone selezionate per espatriare in Italia, Sadiq compila i documenti (già ad aprile), riceve una prima risposta positiva e attende. I talebani intanto arrivano ad Herat e racconta “la paura era tanta, anche perché l’ambasciata italiana non dava indicazioni”.
Finalmente l’ambasciata chiama Sadiq e lo invita a raggiungere l’aeroporto di Kabul, a 1500km di distanza, in poco più di un giorno.
“Ero al lavoro – racconta – non ho fatto in tempo a prendere niente oltre a qualche vestito e un po’ di cibo”. Tutte cose che ha dovuto lasciare a Kabul per poter salire sull’aereo che lo avrebbe portati in Italia.
Davanti all’aeroporto Sadiq e la sua famiglia trovano più di 10mila persone che sperano di poter partire, tra cui molti conoscenti, amici e colleghi.
Ma solo chi è in possesso dei documenti idonei, come Sadiq, può accedere all’aeroporto di volta in volta che gli eserciti delle diverse nazioni aprono loro le porte.
“Gli afghani – racconta Sadiq – hanno fatto delle vere e proprie catene umane all’esterno dell’aeroporto per far passare tra la folla chi doveva prendere l’aereo”.
Dopo due giorni dentro l’aeroporto Sadiq e la sua famiglia si imbarcano in un aereo militare che fa scalo in Pakistan e poi in Qatar, per arrivare a Roma.
Da qui il suo viaggio si snoda per Sanremo (9 giorni) per la quarantena, Caserma Serena a Treviso (23 giorni) e trova conclusione a Vittorio Veneto, ospite della Caritas diocesana.
“Io e la mia famiglia – dice infine – ci sentiamo molto fortunati ad essere usciti dall’Afghanistan prima dell’arrivo dei talebani”.